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  • L’imperizia vale anche per i medici “famosi”. Scattano le regole di punibilità della Balduzzi e della Gelli-Bianco. Assolto medico condannato in primo grado per omicidio colposo

L’imperizia vale anche per i medici “famosi”. Scattano le regole di punibilità della Balduzzi e della Gelli-Bianco. Assolto medico condannato in primo grado per omicidio colposo

5 giugno 2018 - Secondo la Cassazione non è corretto escludere l’imperizia sulla base della fama professionale del medico. Per la Corte i giudici di primo grado hanno escluso l’imperizia scegliendo l’imprudenza per evitare la non punibilità prevista dalla Gelli-Bianco. Allo stesso modo hanno omesso di verificare il grado di colpa che, se lieve, avrebbe fatto scattare gli effetti della Balduzzi per chi segue le linee guida anche in caso di imperizia, negligenza o imprudenza. LA SENTENZA 

Anche se il medico è famoso, non per questo non può essere accusato di imperizia. E accusandolo di imperizia e non di imprudenza, avendo egli seguito le linee guida in materia, scatta la non punibilità secondo l’ultima interpretazione delle sezioni unite della Cassazione.

Il fatto
Un medico era stato dichiarato colpevole (Tribunale e Corte d’Appello) di omicidio colposo ai danni di una paziente sottoposto a laparatocele e revisione della cicatrice in seguito a pregressa isterectomia ombelico-pubica e in questo intervento sarebbe stata procurata alla paziente una perforazione intestinale che ne aveva poi causato il decesso.

Dopo la dimissione dal primo intervento, la paziente aveva accusato a casa una serie di problemi intestinali che avevano condotto a un nuovo ricovero e a un intervento di urgenza, appunto, per perforazione intestinale. Successivamente all’intervento la situazione si aggrava, subentra uno stato febbrile ed esami di laboratorio alterati, si instaura una sepsi sempre più grave che compromette organi vitali e prima che potesse essere effettuata una nuova laparotomia di urgenza la paziente muore.

La sentenza
Secondo la Corte d’Appello il medico avrebbe omesso gli esami necessari a prevenire i fatti e per questo ha classificato il profilo di colpa come imprudenza (non negligenza né imperizia proprio per la fama del medico) e viene esclusa la rilevanza dell’osservanza delle linee guida (o delle buone pratiche) che secondo la difesa non sarebbero state disattese nella condotta del medico ed è esclusa anche l’applicabilità della lex mitior secondo le leggi Balduzzi e Gelli Bianco.

Ma secondo la Cassazione, invece, il ricorso del medico contro la sentenza di colpevolezza è fondato. Per i giudici infatti nella prima condanna non è stato considerato un tema centrale per l’individuazione della condotta colposa del medico: l’osservanza delle buone pratiche clinico-assistenziali. E in assenza di linee guida concordi sul punto, il riferimento doveva essere ai criteri della “vigile attesa” accreditati dalla letteratura scientifica.

E, afferma la Cassazione, non è stato corretto neppure escludere l’imperizia solo sulla base del valore del medico. Per la Corte i giudici di primo grado hanno escluso l’imperizia scegliendo l’imprudenza proprio per evitare la non punibilità prevista dalla Gelli-Bianco. Allo stesso modo hanno omesso di verificare il grado di colpa che, se lieve, avrebbe fatto scattare gli effetti della legge Balduzzi per il sanitario che segue le linee guida anche in caso di imperizia, negligenza o imprudenza e ha quindi annullato la condanna con rinvio.

“In dottrina – spiega la sentenza della Cassazione - alcuni Autori hanno cercato di dare una definizione chiara e netta delle tre nozioni (negligenza, imprudenza, imperizia) . In termini affatto generali e necessariamente imprecisi, si tende ad ascrivere alla categoria dell'imperizia il comportamento del soggetto inosservante delle regole cautelari perché ‘inesperto’, soprattutto sul  piano  esecutivo;  alla  categoria  della negligenza il comportamento del soggetto inosservante per  non  avere  fatto  ciò che era doveroso fare; alla categoria dell'imprudenza il  comportamento  del soggetto inosservante per avere fatto ciò che  era  doveroso  non  fare”. 

“Ma,  a fronte di tali tentativi – sottolinea la Corte - diversi  Autori  riconoscono  e mettono  in luce la sussistenza di margini talora evanescenti, quando  non  di  (almeno  parziali)  sovrapposizioni, tra le tre nozioni appena richiamate.

La giurisprudenza tradizionalmente valuta il concetto di "imperizia" nei reati colposi, addebitati a soggetti che rivestono determinate qualifiche  dirigenziali  e che prestano corrispondenti mansioni di elevata delicatezza, specializzazione e responsabilità, "in rapporto alla qualifica e all'attività svolta in concreto, le quali esigono l'osservanza delle regole e delle precauzioni doverose da  parte  della media dei soggetti rivestenti identica qualifica  e  svolgenti  identiche  mansioni".

Era dunque già presente – sottolinea la sentenza - nella  giurisprudenza di legittimità,  una  distinzione tra imperizia da un lato, e imprudenza e negligenza dall'altro, ai fini della determinazione dei criteri di valutazione della responsabilità colposa del sanitario, sia pure in un quadro normativo affatto diverso dall'attuale”.

“A fronte del già visto approccio probabilistico seguìto al riguardo dal collegio peritale – spiegano i giudici della Cassazione -  merita di essere richiamato l'indirizzo della Corte di legittimità in base al quale il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di elevata probabilità logica, che, a sua volta, deve essere fondato, oltre che su un ragionamento deduttivo basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo circa il ruolo salvifico della condotta omessa, elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e focalizzato sulle particolarità del caso concreto”.

Secondo la Corte “all'evidenza, nel percorso argomentativo seguìto dalla Corte distrettuale (e anche in quello seguìto dal Tribunale nella sentenza di primo grado), siffatta indagine non è stata adeguatamente condotta e ha lasciato zone  d'ombra  sia nella ricostruzione del rilievo causale  del  comportamento  addebitato  al medico rispetto al decesso della paziente, sia nell'accertamento della portata salvifica del comportamento che egli avrebbe dovuto tenere nell'occorso, avuto riguardo all'evolversi delle condizioni patologiche della paziente”.
 
“La sentenza impugnata – conclude la Corte - va perciò annullata con rinvio ad  altra  Sezione della Corte d'appello di Roma, alla quale va  demandata  altresì  la regolamentazione delle spese tra le parti  di  questo  giudizio  di  legittimità.  La Corte di merito, nel giudizio di rinvio, sì atterrà  ai  principi  di  diritto  dianzi richiamati, sia sotto il profilo della natura  colposa  della condotta  del medico (ivi compreso l'accertamento del grado dell'eventuale colpa), sia  sotto  il  profilo della sua rispondenza o meno ai criteri  riconducibili  alle  buone  pratiche accreditate dalla comunità scientifica,  sia  sotto  il  profilo  della  portata  salvifica che il comportamento eventualmente alternativo e ritenuto  doveroso  avrebbe avuto, attraverso un giudizio fondato  su criteri di elevata  probabilità  logica  e non su mere basi probabilistico-statistiche”.

 

 

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