Monitoraggio fetale intrapartum: ricadute cliniche e medico-legali alla luce della giurisprudenza recente
Perché la cardiotocografia non dovrebbe più essere utilizzata nelle aule di giustizia. Un libro di Salvatore Politi lo chiarisce
Presentazione di Claudio Crescini
Una delle cause più frequenti di discussione in sede processuale in ambito ostetrico riguarda l’interpretazione della cardiotocografia (CTG) in caso di esito neonatale avverso.
Da molti anni in Italia tutti i travagli di parto indipendentemente dai fattori di rischio vengono monitorizzati in continuo con la registrazione elettronica della frequenza cardiaca fetale che talvolta viene utilizzata anche per la valutazione del benessere fetale a termine di gravidanza fuori travaglio.
Tutto ciò nonostante che la CTG sia un esame con bassissima specificità ed elevato tasso di falsi positivi nella ricerca di danno neurologico neonatale, soprattutto se applicato alle gravidanze fisiologiche a termine in travaglio spontaneo.
La registrazione elettronica continua ha sostituito l’unica metodica utilizzata per secoli, e cioè l’auscultazione intermittente del battito cardiaco fetale intrapartum (un tempo con lo stetoscopio di Pinard), ma mentre per la registrazione quest’ultima faceva fede solo su quanto dichiarato dal ginecologo e dall’ostetrica che avevano assistito al parto, la prima lascia invece una traccia permanente minuto-per-minuto del battito cardiaco fetale durante tutto il corso del travaglio e che anche a distanza di anni può essere rivalutata.
La CTG è stata introdotta nella pratica clinica a fine anni ’60 e successivamente adottata come gold standard per il monitoraggio del benessere fetale intrapartum per ridurre il rischio di acidosi metabolica ed il possibile sviluppo di danno cerebrale neonatale. Ma nonostante l’utilizzo estensivo e routinario in tutte le sale parto della CTG il tasso di paralisi cerebrale infantile (PCI) nei neonati dopo la 35° settimana è rimasto pressoché invariato (circa il 2 casi ogni 1000 nati vivi) mentre si è assistito ad un incremento esponenziale dei tagli cesarei (TC).
Questo perché, come ampiamente dimostrato in Letteratura, la predisposizione genetica insieme a numerosi eventi ante- intra- e post-partum possono concorrere nel causare un danno cerebrale neonatale permanente, e la loro esatta identificazione risulta spesso molto difficile. Queste evidenze confutano quindi il “falso mito” che la PCI sia causata esclusivamente dall’asfissia acuta intrapartum: infatti la PCI rimane a tutt’oggi un evento sia imprevedibile che imprevenibile.
Tuttavia, la CTG rappresenta un “paradosso” della medicina moderna perché è stata introdotta nella pratica clinica prima che qualsiasi studio randomizzato o ricerche scientifiche ne dimostrassero l’efficacia. Ciononostante, una pletora di medici-legali e periti-consulenti spesso non esperti del tema asserisce ciò che le evidenze scientifiche hanno ampiamente dimostrato essere un’affermazione fallace e priva di fondamento scientifico: cioè riuscire ad identificare, basandosi sulle inaffidabili re-interpretazione ex-post dei tracciati CTG quando l’esito neonatale sfavorevole è noto, l’esatto momento in cui un parto più veloce generalmente mediante taglio cesareo avrebbe portato a un danno cerebrale inferiore o addirittura assente.
Salvatore Politi, ginecologo del Garibaldi – Nesima di Catania, nel libro edito da Piccin, prendendo spunto da una sentenza della Corte di Cassazione e basandosi su una mole consistente di referenze bibliografiche e riferimenti giurisprudenziali, propone per la prima volta in Italia la necessità di un cambiamento di paradigma sia nelle sale parto che nelle aule di tribunale.
Al fine di risolvere definitivamente quel «nodo gordiano» clinico, etico e medico-legale che opprime l’assistenza ostetrica e la sorveglianza fetale intrapartum, si dovrebbe adottare una Nota Informativa o condividere un Consenso Informato con la paziente per spiegarle i limiti della CTG intrapartum, qualora la si voglia utilizzare, nella prevenzione della PCI, al fine di rispettare gli indirizzi giurisprudenziali e bioetici, allo scopo di rendere più “consapevole” la partoriente e infine per migliorare il rapporto fiduciario medico-paziente.
Dall’altro lato si dovrebbero bandire dalle aule di tribunale tutte le re-interpretazioni ex-post dei tracciati CTG in quanto non rispettano i criteri giurisprudenziali accettati anche in Italia e derivanti da una storica sentenza americana (caso Daubert relativa effetti collaterali sul feto del Benedectin a base di Talidomide prodotto negli USA dalla Merrell Dow Pharmaceuticals per il quale la maggioranza degli studi scientifici presentati dall’azienda escludevano un effetto teratogeno in contrasto con studi non ancora pubblicati) per cui una prova scientifica incerta (come le reinterpretazioni ex post dei tracciati CTG ) non è sufficiente per emettere una condanna, anche se il suo utilizzo nelle sale parto è accettato dalla maggioranza della comunità scientifica.
Ci si auspica che queste due “rivoluzioni” vengano accolte dal mondo scientifico, giuridico e legislativo per permettere finalmente agli operatori sanitari che si occupano dell’evento nascita di poter svolgere la propria attività assistenziale e prendere le decisioni necessarie senza la paura di essere denunciati ma solo con l’intento di offrire le migliori prestazioni professionali oggi disponibili per una nascita sicura in un contesto di serenità e gioia per tutti.
Claudio Crescini