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La violenza lascia cicatrici sul Dna. Iss chiede a donne di donare campioni biologici per studiare gli effetti e prevenire danni alla salute

31 ottobre - Al via la seconda fase dello studio EpiWe, che diventa multicentrico coinvolgendo 5 regioni: Lazio, Lombardia, Campania, Puglia e Liguria. Gaudi: “Stiamo dimostrando che la violenza influisce sulla salute del genoma. Vogliamo fare in modo di poter dire, analizzando tutto il profilo dell’epigenoma nel tempo, chi potrebbe avere un maggiore suscettibilità a sviluppare un tumore all’ovaio o una malattia cardiovascolare o una patologia autoimmune”.

La violenza lascia ‘cicatrici’ sul Dna delle donne che la subiscono, e capire fino a che punto queste modifiche si estendano all’interno del genoma delle vittime, e quanto durano i loro effetti nel tempo potrebbe essere la chiave per mettere in atto una prevenzione ‘di precisione’.

A questo scopo è partita la fase multicentrica del progetto EpiWe (Epigenetics for Women) dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), che chiede la collaborazione di tutte le donne, attraverso la donazione di un campione biologico. L’iniziativa, insieme a un video realizzato per invitare le donne a partecipare, è stata presentata nei giorni scorsi nel corso di un convegno dal titolo ‘Epigenomica della violenza sulle donne, studio multicentrico’.

“La violenza contro le donne è un problema di salute pubblica globale persistente che riguarda tutte le classi sociali e le etnie con una notevole influenza negativa sulla salute delle donne - afferma Rocco Bellantone, presidente dell’Iss -. L’individuazione precoce, gli interventi adeguati e la cooperazione multidisciplinare sono fattori cruciali per contrastare la violenza di genere. La ricerca pubblica e la sanità pubblica svolgono un ruolo centrale nell’individuazione dei fattori di rischio e di protezione e nella comprensione del legame tra la violenza e gli effetti a lungo termine sulla salute delle donne. Questo lavoro transdisciplinare ha come obiettivo principale quello di proporre una serie di strategie innovative e/o d’interconnessione per garantire alla donna che ha subito violenza, un’assistenza di lungo periodo così da contrastare e limitare l’insorgenza di patologie croniche e non trasmissibili che potrebbero avere origine proprio dal trauma subito”.

“La Sanità Pubblica – aggiunge Bellantone - riveste un ruolo centrale nell’identificare i fattori di rischio e di protezione e nel rafforzare la ricerca. E l’Iss con le sue ricercatrici e i suoi ricercatori supporta programmi e azioni al fine di garantire a tutte le donne e a tutte le ragazze una vita senza violenza e senza le sue conseguenze sulla salute”.

“L’individuazione precoce, interventi adeguati e la cooperazione multidisiplinare sono fattori cruciali per porre fine alla violenza di genere - ha spiegato il direttore generale dell’Iss Andrea Piccioli in un messaggio -. L’aspetto più interessante a livello scientifico è il ruolo dell’epigenetica nel fornirci risposte importanti non solo per quel che riguarda i fattori di rischio e di protezione, ma anche per la ricerca del nesso causale tra la violenza subita dalle donne e gli effetti sul loro stato di salute, anche a lungo termine”.

Lo studio pilota EpiWE pubblicato nel 2023 e di cui l’Iss è l’ente promotore in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano e la Fondazione Cà Granda dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, aveva già dimostrato che la violenza è in grado di alterare a livello epigenetico i geni delle donne vittime di violenza, modificandone cioè non la struttura ma l’espressione. “Quei risultati preliminari, che erano stati ottenuti analizzando un pannello di 10 geni – spiega Simona Gaudi coordinatrice di EpiWe ricercatrice del Dipartimento Ambiente e Salute - sono stati il punto di partenza per lo sviluppo dello studio multicentrico, che prende il via grazie all’accordo di collaborazione tra il Ministero della salute-Centro nazionale per la prevenzione ed il controllo delle malattie (Ccm) e l’Iss. L’azione Centrale del ministero permetterà di avere un numero maggiore di donne da arruolare nella ricerca, per riuscire a studiare il profilo epigenetico non di pochi geni, come è stato fino ad ora, ma dell’intero genoma. E di farlo con continuità, nel tempo avviando programmi di follow up: invitando le donne a donare nel corso del primo incontro dopo la violenza un campione biologico da analizzare, e anche a tornare a farlo ancora”.

La nuova fase prevede il coinvolgimento di 7 unità operative e di 5 regioni - Lazio, Lombardia, Campania, Puglia e Liguria. Grazie alla medicina territoriale e ai suoi ambulatori, pronto soccorsi, case antiviolenza, asl, le donne vittime di violenza relazionale o sessuale saranno informate sulla possibilità di donare un loro campione biologico e di tornare per valutare nel tempo la possibile variazione epigenomica attraverso la raccolta di più campioni, per intercettare in ognuna di loro il prima possibile gli eventuali danni di salute intervenendo a livello multidisciplinare e integrato per prevenirli.

L’obiettivo è quello di riuscire a coinvolgere il maggior numero possibile di donne con prelievi di sangue almeno per 18 mesi, per 4 prelievi in totale, uno ogni sei mesi. Al momento del prelievo, e nei richiami del follow-up, i campioni biologici saranno corredati con una serie di dati sul benessere psicofisico, con particolare riguardo alle patologie stress-correlate.
Per la raccolta di dati è stata sviluppata una scheda informatica ad hoc, che consiste di 4 domande di contesto, 5 domande per indagare il rischio di recidiva violenta, quindi un questionario di 18 domande per individuare un’eventuale sindrome da stress post traumatico.

“Quello che stiamo dimostrando a livello territoriale - riprende Gaudi - è che la violenza influisce sulla salute del genoma in un modo tale che i suoi effetti a volte si manifestano 10-20 anni dopo. Questo ci dicono i dati. Ma a noi vogliamo dare supporti molecolari a questi dati, in modo tale che analizzando tutto il profilo dell’epigenoma nel tempo saremo in grado di dire che quella donna potrebbe avere un maggiore suscettibilità a sviluppare un tumore all’ovaio o una malattia cardiovascolare o una patologia autoimmune".

Il filmato che invita le donne a partecipare allo studio multicentrico è prodotto da Iss e verrà diffuso nei contesti di arruolamento delle donne nello studio (asl, medici di famiglia…) ma anche nei punti di incontro del tessuto cittadino (librerie, supermercati…) per sensibilizzare tutte, non solo quelle che hanno subito violenza, a contribuire alla ricerca che limita i danni sul lungo periodo della piaga della violenza.


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