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Punti Nascita. Trojano (Sigo): “Quelli sotto i 500 parti annui vanno chiusi: non garantiscono alle pazienti un’assistenza sicura”

31 gennaio - “La carenza di medici ginecologici ed ostetriche, proprio nei centri a basso volume, rende a volte impossibile la prosecuzione dell’attività di assistenza al travaglio e parto. Per chi lavora nei piccoli ospedali è impossibile formarsi e mantenere un’abilità medica e chirurgica, lavorando in strutture a basso volume. Infine, la chiusura dei punti nascita a basso volume è ragionevole anche per evitare la dispersione delle risorse economiche”.

“Perché chiudere i punti nascita a basso volume? Questa questione è sempre stata dibattuta, perché esiste un malcelato conflitto, tra il diritto a ricevere cure sicure da una parte ed il poter essere seguiti durante la gravidanza e il parto vicino alla propria residenza dall’altra. I punti nascita a basso volume (sotto i 1.000 parti) non sono in grado di garantire la migliore esperienza clinica e l'organizzazione necessarie per prevenire ed eventualmente affrontare le imprevedibili situazioni di rischio non garantendo, così, una sicura assistenza per le pazienti La tutela e la sicurezza della madre e del nascituro rappresentano la sostanza della questione”.

È quanto dichiara Vito Trojano, Presidente della Federazione Sigo, Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (Aogoi, Agui e Agite) che in una nota ripercorre i passaggi fondamentali sul perché i punti nascita sotto i 500 parti annui vanno chiusi.

Nell’Accordo Stato Regioni del 16 dicembre 2010 sono approvate le ”Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità̀, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo”, questa è la prima normativa per la sicurezza delle sala parto in Italia. Viene istituita la funzione di coordinamento permanente per il percorso nascita, che ha il compito di sorvegliare e regolamentare tutti i punti nascita.

L’intento è quello di razionalizzare e ridurre progressivamente i punti nascita con numero di parti ≤1000/anno definendo gli standard operativi, prevedendo l'abbinamento per pari complessità delle attività delle U.O. ostetriche con quelle neonatologiche/pediatriche: in particolare, sono previsti due livelli erogativi, il I livello che individua Punti Nascita con numero di parti compreso tra 500 e 1.000/anno e il II livello che caratterizza i Punti Nascita con numero di parti maggiore di 1.000 parti/anno. Si prevede inoltre l’attivazione e la messa in atto dello STAM e dello STEN (organizzazioni di trasporto della madre e del neonato). L’Accordo Stato-Regioni del 16-12-2010 ha anche uno specifico riferimento alla possibilità di mantenere in attività punti nascita ubicati in aree orogeografiche disagiate, i cui volumi di attività siano uguali o superiori a 500 parti/anno.

Nel corso degli anni, il Comitato percorso nascita nazionale ha concesso che venisse abbassata questa soglia, permettendo di mantenere in attività punti nascita al di sotto di 500 parti/anno, a condizione che venisse dimostrata e avallata dal Comitato percorso nascita nazionale, la situazione di disagio orogeografico e la presenza di tutti i requisiti e gli standard previsti dall’accordo. È stato, pertanto, predisposto un Protocollo metodologico per la richiesta di deroga, previsto dal DM 11/11/2015, con il quale le Regioni chiedono al Comitato di esprimere un parere sulla persistenza dei PN.

Di fatto, il miglioramento della qualità di assistenza alla nascita attraverso la messa in atto di queste norme ha portato in Italia ad un calo della mortalità materna. Dal 2011 al 2019, i dati provenenti dall’Italian Obstetric Surveillance System (ItOSS) sulla morte materna hanno mostrato una riduzione dei decessi da 11 a 8,3 ogni 100 mila nati vivi. Permane tuttavia una forte variabilità geografica con una situazione più sfavorevole nel Mezzogiorno. La stima è difatti pari a 7,7 decessi ogni 100 mila nati vivi al Nord, 5,9/100 mila al Centro e 10,5/100 mila al Sud.

La maggioranza dei decessi a 42 giorni dal parto, che si stima attorno al 55,1%, riguarda morti da causa diretta, attribuibili a complicanze ostetriche. Tra queste l’emorragia ostetrica figura al primo posto per frequenza (37,1%), seguita dalla sepsi (13,9%), dai disordini ipertensivi della gravidanza (13,4%) e dalla trombo-embolia (11,9%).

Sul versante neonatale dobbiamo prendere in considerazione il tasso di mortalità perinatale (Pmr, perinatal mortality rate) che rappresenta l’indicatore chiave dell’assistenza sanitaria al neonato, in quanto mette insieme i nati morti tardivi e la morte neonatale precoce e riflette direttamente la qualità dell’assistenza prenatale, al parto e dopo la nascita. Questo tasso permane in Italia attorno al 4 per 1000 nati. Esso è caratterizzato con una forte variabilità geografica, ma soprattutto esso dipende dal numero dei parti del punto nascita; al Sud e nei punti nascita a basso volume la mortalità perinatale risulta molto maggiore, riflettendo la necessità di razionalizzare, regolamentare e progressivamente ridurre i punti nascita sotto i 1000 parti.

Le difficoltà sono molte, elenchiamo di seguito le maggiori:

  • La difficoltà di reperire medici ginecologici ed ostetriche proprio nei centri a basso volume, rende a volte impossibile la prosecuzione dell’attività di assistenza al travaglio e parto. Anche questo determina la necessità della chiusura dei punti nascita a basso volume. La mancanza di ginecologi su scala nazionale è evidente anche dalla consueta partecipazione dei medici specializzandi in Ginecologia ed Ostetricia, ai concorsi banditi dalle diverse Aziende Sanitarie ed al reclutamento degli stessi negli ultimi anni di corso.
  • La grande difficoltà di esercitare medici ginecologici ed ostetriche che lavorano nei piccoli ospedali a risolvere le principali urgenze/emergenze, risulta infatti impossibile per gli operatori formarsi e mantenere un’abilità medica e chirurgica, lavorando in ospedali a basso volume, dove gli accadimenti rari diventano rarissimi, impedendo di fatto la preparazione degli operatori.
  • Infine, la chiusura dei punti nascita a basso volume è ragionevole anche per evitare la dispersione delle risorse economiche. La necessità di rendere i punti nascita con standard organizzativi adeguati e la formazione continua del personale ostetrico-ginecologico richiede di fatto una disponibilità economica tale che attualmente risulta scarsa ed insufficiente nelle diverse aziende sanitarie.

 

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