Le nanoplastiche alterano il microambiente osseo. Lo studio italiano
3 novembre - Uno studio interdisciplinare dell’Università degli Studi di Milano ha esposto le tre principali tipologie cellulari coinvolte nel mantenimento della massa ossea a nanoplastiche fluorescenti, analizzandone l’effettivo ingresso nella cellula e scoprendo che le nanoplastiche possono interagire direttamente con le cellule ossee, andandone a modificare le normali attività. La pubblicazione su Science Direct - Journal of Hazardous Materials.
Le nanoplastiche alterano il delicato equilibrio e la relazione esistente nel microambiente osseo, attività che potrebbe riflettersi in una maggiore suscettibilità a sviluppare patologie legate all’impoverimento osseo.
Questa la conclusione a cui è giunto un team di scienziati e recentemente pubblicata su Science Direct - Journal of Hazardous Materials .
La plastica è il materiale che maggiormente caratterizza la nostra epoca: la gestione errata del rifiuto plastico ha determinato infatti un accumulo massivo di oggetti plastici nell’ambiente, che, a seguito della degradazione e della frammentazione a causa di processi chimici, fisici e biologici, originano micro e nanoplastiche, misurate rispettivamente in micrometri (ovvero con dimensioni comprese tra 0,1 e 5.000 µm, ovvero 5mm) e nanometri (le cui dimensioni vanno da 0,001 a 0,1 µm, cioè da 1 a 100 nanometri).
E sono proprio le nanoplastiche l’oggetto dello studio frutto di una collaborazione interdisciplinare, interdipartimentale e interuniversitaria tra Lavinia Casati, ricercatore di Patologia Generale presso il Dipartimento di Scienze della Salute della Statale di Milano, il laboratorio di Patologia Generale coordinato da Raffaella Chiaramonte, docente di Patologia Generale dello stesso Ateneo, e altri gruppi di ricercatori, tra cui il team di ricerca di Marco Parolini, docente di Ecologia del Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali, i ricercatori del Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Traslazionale dell’Università degli Studi di Milano e dell’Università di Parma.
Le nanoplastiche, ad oggi, spiega una nota, rappresentano una delle più recenti categorie di contaminanti emergenti, la cui distribuzione in ambiente e gli effetti sugli esseri viventi sono largamente sconosciuti. “A oggi esistono pochi studi inerenti agli effetti indotti dall’esposizione alle nanoplastiche su modelli ecotossicologici e ancora meno studi sull’uomo”, spiega Lavina Casati, ultimo autore e corresponding author della ricerca. “Proprio da questo nasce la nostra ricerca, che ci ha permesso di descrivere l’azione di questi contaminanti sull’osso, usando un modello in vitro che potesse fornirci una visione ad ampio spettro”.
Per poter scattare la fotografia del microambiente osseo, gli scienziati si sono serviti delle tre principali tipologie cellulari coinvolte nel mantenimento della massa ossea, ovvero i precursori degli osteoblasti, (le cellule che depongono l’osso), gli osteociti (considerati i controllori del processo di rimodellamento osseo) e i precursori degli osteoclasti (ovvero le cellule che lo degradano). Utilizzando tecniche di colture cellulari, hanno esposto queste cellule a delle nanoplastiche fluorescenti di dimensioni pari a 50 nanometri, verificando l’effettivo ingresso delle nanoplastiche nella cellula e la loro localizzazione, attraverso tecniche di imaging e citofluorimetria: le nanoplastiche sono in grado di entrare nelle cellule in un modo che è sia attivo che passivo, e vanno a localizzarsi a livello citoplasmatico. Sono stati poi valutati gli aspetti tossicologici, medianti saggi enzimatici e colorimetrici e parametri funzionali (mediante scratch test e saggi immunoistochimici). Le nanoplastiche riducono la vitalità delle cellule, ne aumentano la morte e inducono la formazione di radicali liberi. A livello funzionale, inoltre, le nanoplastiche alterano la capacità migratoria degli osteoblasti e potenziano il riassorbimento indotto dagli osteoclasti.
Per descrivere al meglio anche l’effetto delle nanoplastiche a livello molecolare, infine, è stato analizzato l’impatto sull’espressione di geni coinvolti nel mantenimento della massa ossea: il team di ricerca ha trovato un coinvolgimento di geni relativi all’innesco di processi infiammatori nei precursori degli osteoblasti e negli osteociti e un’induzione dei geni coinvolti nei processi differenziativi degli osteoclasti.
“Anche se saranno necessari ulteriori studi per delineare al meglio la complessa interrelazione tra nanoplastiche e rimodellamento osseo a livello della salute umana, questo studio ci permette di iniziare ad esplorare nuovi orizzonti inerenti ai contaminanti ambientali e al loro impatto sull’uomo”, conclude Lavinia Casati.