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Morti evitabili. Al Sud dati sopra la media nazionale. Fenomeno particolarmente elevato a Napoli. Nuovo record negativo per le nascite: nel 2023 nati appena 379 mila bambini. Il rapporto Istat

17 maggio - Nel 2021 l’incidenza standardizzata di morti evitabili nel meridione è superiore alla media nazionale (20,4 contro 19,2 ogni 10 mila abitanti); a eccezione di quella di Cagliari, tutte le altre Città metropolitane del Sud e delle Isole hanno fatto registrare valori della mortalità evitabile superiori all’insieme in esame. Tra i più giovani si è osservato un peggioramento nella sfera della salute mentale e una propensione ad adottare stili di vita che possono compromettere la loro salute. IL RAPPORTO

Con la fine della pandemia, il calo della mortalità si traduce in un recupero di 6 mesi della speranza di vita alla nascita, fino a 83,1 anni, confermando come il nostro sia uno dei Paesi in cui in media si vive più a lungo. Restano però diverse ombre riguardo la spaccatura tra Nord e Sud del Paese in termini di mortalità prevenibile. Nel 2021 l’incidenza standardizzata di morti evitabili nel meridione è superiore alla media nazionale (20,4 contro 19,2 ogni 10 mila abitanti); a eccezione di quella di Cagliari, tutte le altre Città metropolitane del Sud e delle Isole hanno fatto registrare valori della mortalità evitabile superiori all’insieme in esame.

Dati che si accompagnano a un nuovo record negativo per le nascite e alla diminuzione della fecondità-

Quanto alle generazioni più giovani, negli anni più recenti si è osservato un peggioramento nella sfera della salute mentale (specialmente tra le ragazze) e una propensione ad adottare stili di vita che possono compromettere la loro salute (consumo di alcol ed eccesso di peso), insieme a una riduzione dei rapporti interpersonali in presenza a vantaggio di quelli a distanza o virtuali.

Questi alcuni dei dati emersi dal nuovo rapporto annuale Istat presentato nei giorni scorsi.

Nel 2023 nuovo record negativo delle nascite: appena 379 mila bambini. Superata la fase pandemica, che ha influito in modo determinante sulla dinamica demografi ca, negli ultimi due anni la perdita di popolazione che dal 2014 ha contraddistinto l’Italia (-1 milione e 356 mila unità, -2,2 per cento l’inizio del 2014 e la fine del 2023) mostra un rallentamento. Al 31 dicembre 2023, la popolazione residente ammonta a 58.989.749 unità, in calo di 7 mila persone rispetto alla stessa data dell’anno precedente. Con appena 379 mila nascite, il 2023 fa registrare l’ennesimo minimo storico dopo il picco relativo di 577 mila nascite del 2008. Nonostante una riduzione dell’8 per cento dei decessi (661 mila) rispetto al 2022 – dato più in linea con i livelli pre-pandemici – il saldo naturale della popolazione resta fortemente negativo: considerando gli effetti del COVID-19 sulla natalità e soprattutto sulla mortalità, negli ultimi quattro anni si registra una perdita di popolazione di oltre 1 milione 240 mila persone dovuta alla sola componente naturale. Il consistente calo delle nascite degli anni più recenti ha radici profonde, ed è dovuto alle scelte di genitorialità (meno figli e sempre più tardi) da parte delle coppie italiane di oggi e di quelle di ieri. È dalla metà degli anni settanta, infatti, che il numero medio di figli per donna è inferiore a 2, il che ha comportato l’erosione della platea dei potenziali genitori. Inoltre, negli ultimi anni si è ridotto anche il contributo alle nascite da parte dei cittadini stranieri, che aveva prodotto una ripresa della natalità a partire dai primi anni Duemila.

Diminuisce la fecondità: il numero medio di figli per donna scende da 1,24 nel 2022 a 1,20 nel 2023, avvicinandosi al minimo storico di 1,19 figli registrato nel 1995. La fecondità delle italiane è pari a 1,18 figli in media per donna (2022), stesso valore dell’anno precedente; quello delle straniere arriva a 1,86 (era 1,87 nel 2021).

Accessibilità ai servizi. L’analisi dell’accessibilità ai servizi ospedalieri si basa sulle misurazioni dei tempi di percorrenza su strada da ciascun comune verso ogni infrastruttura: si tratta dei tempi minimi stimati per raggiungere almeno una infrastruttura sanitaria. Sono state predisposte tre classi di intervalli temporali – fino a 15 minuti, da 15 a 30, oltre 30 – all’interno delle quali ogni comune viene collocato in base al tempo minimo di percorrenza rilevato. Sono state considerate 635 infrastrutture ospedaliere (al 2019), tutte dotate di un Pronto soccorso o di un Dipartimento di Emergenza Urgenza e Accettazione (Dea) di primo o secondo livello.

Il grado di diffusione territoriale delle strutture ospedaliere è piuttosto elevato, con maggiori concentrazioni in prossimità delle Città metropolitane di Milano, Roma e Napoli. Tuttavia, molte regioni si collocano al di sotto della media nazionale di disponibilità in rapporto alla popolazione residente: Lombardia, Lazio e Campania, tra le più popolose, unitamente a Toscana, Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Puglia, Emilia-Romagna e Valle d’Aosta/Vallée d'Aoste. In Umbria, Calabria e Sardegna la disponibilità di ospedali per 100 mila abitanti è più elevata (superiore a 1,5).

Per quanto riguarda l’accessibilità, mediamente il 55,5 per cento dei comuni – in cui risiede la stragrande maggioranza della popolazione (84,7 per cento) – dista al massimo 15 minuti dall’ospedale più vicino. Per la quota rimanente, il 38 per cento dei comuni (14 per cento della popolazione) dista tra i 15 e i 30 minuti.

La quasi totalità della popolazione (98,7 per cento) risiede, pertanto, in comuni dai quali è possibile raggiungere una struttura ospedaliera entro mezz’ora. Tuttavia, sussistono notevoli differenze sul territorio: dista al più 15 minuti da un ospedale il 75,5 per cento dei comuni lombardi, contro il 14,5 per cento dei comuni della Basilicata (93,4 e 41,6 per cento le quote in termini di popolazione, rispettivamente). L’accessibilità dei residenti ai servizi ospedalieri è superiore alla media nazionale, per il Centro-Nord, in regioni come Liguria (con la quota più elevata di popolazione anziana), Veneto, Umbria, Emilia-Romagna, Lazio, Piemonte e Lombardia, a cui si aggiungono Campania e Puglia per il Mezzogiorno. Maggiori difficoltà si rilevano laddove l’orografia e la geomorfologia dei territori rendono più complessi gli spostamenti: in Basilicata, Molise, Valle d’Aosta/Vallée d'Aoste, in Sardegna e in Calabria, dove una quota non irrilevante di popolazione (tra il 5,2 e il 20,3 per cento) impiega oltre 30 minuti per raggiungere una struttura ospedaliera. I comuni che distano oltre 1 ora da un ospedale sono solo sei, con appena 13 mila residenti in tutto, ripartiti tra Toscana, Lazio, Puglia e Sicilia.

Disuguaglianze. L’analisi condotta sulle Città metropolitane mette ancora più in risalto le disuguaglianze di salute tra i territori, che risultano distribuite secondo un asse geografico a criticità crescente da Nord a Sud. Nel 2021 l’incidenza standardizzata di morti evitabili in queste aree è superiore alla media nazionale (20,4 contro 19,2 ogni 10 mila abitanti); a eccezione di quella di Cagliari, tutte le altre Città metropolitane del Sud e delle Isole fanno registrare valori della mortalità evitabile superiori all’insieme in esame. Il fenomeno è particolarmente elevato a Napoli, sia con riferimento alla Città metropolitana (27,1 decessi evitabili ogni 10 mila abitanti, di cui 18 prevenibili) sia al solo capoluogo (29,3 decessi evitabili ogni 10 mila abitanti, di cui 19,9 prevenibili).

 

L’analisi per genere evidenzia una prevalenza della mortalità maschile in entrambe le componenti, soprattutto in quella prevenibile. Nel 2021 in Italia le cause prevenibili hanno determinato il decesso prematuro di 18,6 uomini e 7,3 donne ogni 10 mila abitanti, cui si sommano i decessi per cause trattabili (6,9 uomini e 6 donne ogni 10 mila) (Figura 4.15). Ancora una volta, il Sud del Paese presenta i livelli di mortalità prevenibile più alti delle altre ripartizioni geografiche per uomini (20,9 per 10 mila abitanti) e donne, con uno squilibrio di genere di 12,6 decessi ogni 10 mila abitanti.

Sul territorio, la mortalità maschile, associata a stili di vita non salutari e all’esposizione a fattori di rischio individuali e ambientali, causa nella Città metropolitana di Napoli 25,2 decessi ogni 10 mila abitanti, 13,3 ogni 10 mila in più rispetto alle donne. L’asimmetria di genere più accentuata nella mortalità prevenibile si rileva nella Città metropolitana di Cagliari (13,8 decessi ogni 10 mila abitanti), dovuta alla bassa mortalità femminile (5,9 decessi ogni 10 mila abitanti), la più contenuta tra tutti i territori metropolitani. Riguardo alla componente trattabile, in Italia le differenze di genere risultano meno marcate (0,9 decessi ogni 10 mila), ma Centro, Sud e Isole superano la media italiana.

Mortalità. Nel 2021 la mortalità entro i 74 anni di vita in Italia è di 28,9 decessi ogni 10 mila abitanti di cui 11,7 ogni 10 mila abitanti per tumore, 5,2 ogni 10 mila abitanti per malattie del sistema cardiovascolare e 1,1 ogni 10 mila abitanti per malattie dell’apparato respiratorio. Il livello di mortalità causato dal Covid, nel 2021, incide per 3 decessi ogni 10 mila abitanti.

Il Nord-ovest, nel 2020, ha il tasso standardizzato di mortalità da Covid più alto delle altre ripartizioni geografiche con 5,3 decessi ogni 10 mila abitanti, ma nel 2021 è il Sud che subisce maggiormente l’impatto della pandemia, 3,8 decessi ogni 10 mila abitanti. La mortalità entro i 74 anni raggiunge i livelli più critici nel Mezzogiorno, con valori superiori alla media italiana per tutte le cause di mortalità in tutti i periodi analizzati. Tra le Città metropolitane Napoli, Catania, Palermo e Messina hanno la mortalità entro i 74 anni più elevata della media dei territori metropolitani, che riguarda circa 30 decessi ogni 10 mila abitanti nel 2020 e 2021, tendenza in linea con quanto osservato per la sola componente evitabile. Le Città metropolitane mostrano alti livelli di mortalità per tutte le cause analizzate, specialmente Napoli, dove nel 2021 la mortalità per tumore è di 14,7 decessi ogni 10 mila abitanti, quella per malattie del sistema cardiovascolare di 7,5 e quella per malattie del sistema respiratorio di 1,9.

Stato di salute. L’età adulta è un periodo della vita in cui ancora si può generalmente fare affidamento su buone condizioni di salute: nel 2023 poco più di 7 adulti su 10 dichiarano di stare bene o molto bene in salute, con valori più elevati tra gli uomini rispetto alle donne (il 75,7 per cento contro il 69,8 per cento). Nel tempo si osserva una complessiva stabilità nelle quote di adulti in buona salute, sebbene dall’analisi per sottogruppi di età si evidenzi come la stabilità abbia riguardato solo la fascia tra i 35 e 44 anni, mentre tra i 25-34enni si è registrato un peggioramento com- pensato dal miglioramento nella fascia dai 45 ai 64 anni.

Tale andamento nel tempo per fasce di età si osserva anche relativamente alla presenza di almeno una patologia cronica che nel 2022, così come nel 2003, ha riguardato circa una persona adulta su tre.

Nel 2023, l’indice di salute mentale tra la popolazione adulta raggiunge un punteggio medio di 69 su 100 e si mantiene su valori superiori alla media della popolazione (68,4). Le condizioni peggiorano, tuttavia, al crescere dell’età e il punteggio dell’indice raggiunge il minimo tra le donne di 45-64 anni (66,4).

L’indicatore di eccesso di peso mette in evidenza tra gli adulti di oggi un leggero peggioramento rispetto agli adulti di venti anni fa (dal 42,0 per cento del 2003 al 45,2 per cento del 2023 e un indice di parità aggiustato 2023/2003 significativo e pari a 0,93), con valori che si confermano nettamente più elevati tra gli uomini (55,5 per cento contro 34,9 per cento delle donne nel 2023). Il peggioramento ha riguardato esclusivamente gli adulti di 25-44 anni, mentre tra i 45-64enni si è osservata una diminuzione, dovuta alla riduzione in questa fascia di età della parte dell’indicatore relativa al sovrappeso (dal 41,7 per cento al 37,8 per cento). Come in passato, la diffusione dell’eccesso di peso è quasi doppia tra chi ha un titolo di studio basso rispetto a chi ha un titolo di studio elevato, in particolare tra le donne; questo divario si riscontra anche per le diverse fasce di età, sebbene la distanza tra chi possiede titoli alti e titoli bassi si riduca al crescere dell’età.

Si riduce nell’intero periodo l’abitudine al fumo (con un indice di parità aggiustato 2023/2003 significativo e pari a 1,18), sebbene la tendenza alla diminuzione si sia interrotta a partire dal 2020. Anche tra gli adulti, come già visto per i giovani, si riduce la distanza uomo-donna per effetto di una riduzione molto meno marcata dell’abitudine al fumo tra le donne: dal 22,3 per cento al 19,3 per cento, mentre per gli uomini si passa dal 36,0 per cento al 28,1 per cento. Va evidenziato che nei giovani adulti di 25-44 anni i fumatori sono in calo in entrambi i generi, mentre nella fascia 45-64 anni diminuiscono solo gli uomini e le donne restano stabili. Nei venti anni analizzati, le riduzioni sono state più forti tra gli adulti residenti nel Centro, avvicinando i comportamenti delle diverse ripartizioni geografiche (al Nord si è passati dal 28,4 per cento al 23,3 per cento, al Centro da 30,9 al 23,4 e al Mezzogiorno dal 28,9 a 24,4 per cento).

L’analisi per titolo di studio evidenzia come, sia ieri sia oggi, tra gli adulti la quota di fumatori cresca al diminuire del livello di istruzione (a eccezione della fascia di età 45-64 anni nella quale si osserva una dinamica opposta). Inoltre, negli ultimi venti anni i fumatori sono diminuiti in misura maggiore tra le persone con titoli di studio più elevati, accrescendo l’entità del divario. Come per i giovani, anche tra gli adulti si assiste alla crescita del consumo di nuovi prodotti a base di tabacco o nicotina, specialmente tra le persone fino a 44 anni.

Nei venti anni osservati è rimasto stabile il consumo di alcol nell’anno (poco più di 7 adulti su 10). Sottostante questa stabilità, si osserva una riduzione tra gli uomini (dal 88,9 per cento al 84,4 per cento) compensata dall’aumento tra le donne (dal 62,1 per cento al 65,2 per cento). Tra il 2003 e il 2023, inoltre, si è dimezzato il consumo giornaliero (con un indice di parità aggiustato 2023/2003 significativo e pari a 1,48), mentre è quasi raddoppiato quello occasionale e fuori pasto, che cresce di più tra le donne, riducendo la differenza di genere. Si riduce il consumo abituale eccedentario in tutte le fasce di età adulta, mentre cresce l’abitudine a ubriacarsi, specialmente nella fascia 35-44 anni (dal 7,9 per cento del 2003 al 12,4 per cento del 2023).

Anche per il consumo di alcol a rischio si osservano comportamenti diversificati per livello di istruzione posseduto, che accomunano gli adulti di oggi e di ieri: infatti, se si considerano le ubriacature, si rilevano sempre quote più elevate tra chi possiede titoli di studio alti; viceversa, se si considera il consumo abituale eccedentario quotidiano, i livelli di consumo sono più elevati tra chi possiede titoli di studio bassi.

 

 

 

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