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Errori diagnostici. Il 15% delle diagnosi è sbagliato, mancato o tardivo. L’allarme dell’Ocse: “Errori costano miliardi e mettono a rischio la vita delle persone”

28 marzo - Un nuovo rapporto rivela che gli errori diagnostici costano miliardi ogni anno e mettono a rischio la vita dei pazienti. Ma intervenire si può, e conviene a tutti. Solo riducendo le diagnosi errate della metà si potrebbero risparmiare quasi 700 miliardi di dollari. IL RAPPORTO

Un dolore persistente, sintomi vaghi che cambiano nel tempo, visite su visite senza una risposta chiara. Per tanti pazienti, il percorso verso una diagnosi corretta può essere lungo e tortuoso. Ma quello che spesso si sottovaluta è quanto un errore, o anche solo un ritardo nella diagnosi, potrebbe compromettere la salute e la vita delle persone.

A ricordarcelo è un recente rapporto dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse), intitolato “The Economics of Diagnostic Safety” , che affronta in modo dettagliato un tema ancora troppo poco discusso: l’impatto economico e umano degli errori nella diagnosi medica .

Secondo l’Ocse, fino al 15% delle diagnosi effettuate nei Paesi membri è errata o avviene troppo tardi. Un dato impressionante, che si traduce non solo in enormi sofferenze per i pazienti, ma anche in costi elevatissimi per i sistemi sanitari. L’organizzazione stima che il peso economico complessivo di questi errori possa raggiungere il 17,5% della spesa sanitaria, pari a circa 1,8% del PIL .

In altre parole, gli errori di diagnosi non sono solo un problema clinico, ma un gigantesco “buco nero” per le casse pubbliche.

Un risparmio possibile: fino a 676 miliardi di dollari l’anno

Il dato che più colpisce è però un altro: migliorare l’accuratezza diagnostica conviene . Secondo l’analisi, se i Paesi riuscissero a dimezzare la frequenza degli errori , si potrebbe ridurre fino all’8% della spesa sanitaria annuale , con un risparmio globale che supera i 676 miliardi di dollari ogni anno. Risorse che potrebbero essere reinvestite in cure migliori, tecnologie avanzate e personale sanitario.

 

Tre facce dello stesso problema

Ma cosa si intende, esattamente, per errore diagnostico? Il rapporto li suddivide in tre categorie principali:

  • Sovradiagnosi: quando si individuano malattie che non avrebbero mai dato sintomi o problemi. È il caso, ad esempio, di alcuni tumori diagnosticati grazie a screening sempre più precoci, che però portano a trattamenti inutili ea volte dannosi.
  • Sottodiagnosi : quando la malattia non viene riconosciuta o viene liquidata come qualcosa di meno grave. Succede spesso con i disturbi psichiatrici o con patologie nuove e complesse come il Long Covid.
  • La diagnosi è errata: quando si individua la malattia sbagliata, portando il paziente su un percorso terapeutico inefficace o addirittura nocivo.

A essere particolarmente a rischio sono le patologie complesse e “silenziose” come la sepsi, le malattie rare, i tumori a sviluppo lento, i problemi cardiovascolari nei giovani e, come accennato, le sindromi post-virali come il Long Covid.

 

Non siamo tutti uguali davanti alla diagnosi

Un altro dato che fa riflettere è che non tutti i cittadini hanno le stesse probabilità di ricevere una diagnosi corretta. Secondo l’OCSE, chi appartiene a fasce sociali più deboli, con minore accesso a cure specialistiche, ha un rischio maggiore di sottodiagnosi. Al contrario, chi può permettersi più visite ed esami rischiando una sovradiagnosi, spesso guidata da una medicina sempre più difensiva e tecnologica, ma non sempre efficace.

 

Le cause: sistema sotto pressione e formazione da ripensare

Tra le cause principali degli errori diagnostici ci sono la complessità crescente del sapere medico, la frammentazione delle cure , la pressione sugli operatori sanitari e, non da ultimo, una formazione spesso incentrata più sulla malattia che sul paziente . Inoltre, molti sistemi sanitari non hanno ancora strumenti efficaci per rilevare e correggere sistematicamente questi errori.

 

Le proposte dell’Ocse: investire nella sicurezza diagnostica

Il rapporto non si limita a fotografare il problema, ma propone anche una serie di interventi concreti, rivolti a governi, ospedali, professionisti e pazienti stessi. Tra questi:

  • Migliorare la formazione clinica, includendo il tema dell’errore come parte integrante del percorso di crescita professionale;
  • Coinvolgere di più i pazienti, rendendoli partecipi del processo diagnostico e informandoli sui rischi legati a diagnosi eccessive o mancate;
  • Utilizzare meglio le tecnologie digitali, incluse le soluzioni di intelligenza artificiale, ma sempre con validazioni rigorose;
  • Creare linee guida e standard nazionali per garantire uniformità nella lettura dei test e nella comunicazione delle diagnosi;
  • Costruire sistemi integrati di raccolta dati, per monitorare in modo trasparente e costante la qualità delle diagnosi.

 

Una sfida che riguarda anche l’Italia

Anche nel nostro Paese il tema è quanto mai attuale. Il Servizio Sanitario Nazionale, già messo alla prova dalla pandemia e dalla carenza di personale, deve affrontare il nodo della sicurezza diagnostica con urgenza. Aumentare il tempo a disposizione dei medici per i colloqui con i pazienti, rafforzare l’assistenza territoriale e valorizzare la medicina generale sono solo alcuni dei tasselli necessari.

Come sottolinea il rapporto, non si tratta solo di evitare gli errori, ma di costruire un sistema in cui sbagliare diventi sempre più difficile. E per farlo, serve un investimento condiviso da tutti gli attori della sanità: istituzioni, professionisti e cittadini.

“Investire nella diagnosi sicura - conclude il rapporto - è una scelta lungimirante, perché salva vite, migliora la qualità dell’assistenza e consente di risparmiare risorse preziose”.

 

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