COVID-19 IN GRAVIDANZA, PARTO E ALLATTAMENTO: GLI AGGIORNAMENTI NAZIONALI E INTERNAZIONALI DELLA SETTIMANA 16-23 APRILE 2020
24 APRILE 2020
A seguito della diffusione della pandemia negli Stati Uniti, la letteratura continua ad arricchirsi di contributi sull’infezione COVID-19 in gravidanza provenienti da oltre oceano. Una coorte di 43 donne ricoverate in 2 ospedali di New York [1] con la conferma di infezione COVID-19 in gravidanza presenta quadri clinici simili a quelli riscontrati nella popolazione generale, con 83% di forme lievi, 9,3% gravi e 4,7% critiche. Il lavoro descrive nel dettaglio il decorso delle infezioni e l’assistenza pre, intra e post partum. Gli autori propongono lo screening per tutte le donne che si ricoverano nei reparti di ostetricia mediante test nasofaringeo per garantire l’identificazione dei soggetti positivi e asintomatici, al fine di proteggere le pazienti, i familiari e i professionisti sanitari, utilizzare al meglio i DPI spesso insufficienti, tranquillizzare le mamme negative e fornire informazioni ai neonatologi in caso di madri asintomatiche positive. L’esecuzione del test su tutte le donne gravide afferenti ai servizi di maternità potrebbe infatti identificare un sottogruppo di donne asintomatiche o pre-sintomatiche che al momento sono sottorappresentate nella popolazione generale a causa delle difficoltà di approvvigionamento e di realizzazione dei test.
Una revisione narrativa statunitense [2] riassume le buone pratiche assistenziali per le donne COVID-19 positive in gravidanza e al parto e per i loro neonati. Uno studio originale [3] prende in esame i ricoveri femminili avvenuti in 14 ospedali dello stato di New York durante il mese di marzo 2020, pari complessivamente a 21.980 ricoveri, di cui 3064 donne in gravidanza o puerperio, e 19.299 donne non gravide. Tra la prima e la quarta settimana di marzo la percentuale dei ricoveri delle donne risultate positive al virus SARS-CoV-2 in gravidanza o puerperio è cresciuta da 0,14% a 5,65% del totale mentre tra le donne non gravide è aumentata da 1,21% a 56,79%. La maggiore prevalenza di donne asintomatiche positive al virus SARS-CoV-2 nella popolazione generale di donne rispetto a quelle in gravidanza viene attribuita alla loro età più avanzata che le rende più spesso sintomatiche rispetto alle donne in gravidanza, le quali si ricoverano prevalentemente per il parto piuttosto che per sintomi suggestivi di infezione COVID-19.
Un case report iraniano [4] descrive il primo caso di morte materna dovuto a infezione COVID-19 in gravidanza. La paziente di 27 anni accusava febbre, mialgie e tosse alla 30esima settimana di gestazione. I referti dell’RX e della TAC polmonare non sembravano patognomonici per polmonite da COVID. Il laboratorio evidenziava linfopenia e aumento della PCR accompagnati da un quadro clinico ingravescente di distress respiratorio che richiedeva ventilazione meccanica e intubazione orotracheale, fino a complicarsi in MOF e decesso materno. L’autopsia ha confermato la polmonite virale e ARDS.
In merito alla sempre attuale problematica relativa alla disponibilità e uso dei DPI in ambito ostetrico, Rasmussen e coll. prendono in esame in maniera approfondita le misure per prevenire il rischio di infezione da virus SARS-CoV-2 tra i professionisti che assistono la gravidanza e il parto [5]. Il lavoro è ricco di documentate informazioni e conclude che le misure più efficaci per la prevenzione consistono in un bundle di attività che prevedono l’accurata igiene delle mani e degli ambienti ospedalieri, l’uso appropriato dei DPI per garantire il quale è necessaria una apposita formazione disegnata specificamente per professionisti sanitari, l’identificazione dei casi anche mediante lo screening di tutte le donne in gravidanza che si presentano ai presidi sanitari a prescindere dalla presenza o meno di sintomi, l’uso costante della mascherina da parte di tutte le donne ricoverate anche durante il travaglio di parto, il distanziamento fisico e l’attento isolamento delle pazienti positive.
Il problema dei DPI in ambito ostetrico è strettamente correlato a quello delle politiche di screening universale a tutte le donne afferenti ai servizi di maternità e di apertura o chiusura dell’accesso ai reparti e alle sale parto dei familiari delle donne che si ricoverano per partorire.
La lettera di un gruppo di esperti di salute mentale perinatale affronta il tema del mancato accesso di familiari e visitatori nei reparti di ostetricia e nelle sale parto di New York [6]. Gli autori concludono che in questo momento di grande diffusione del virus, di scarsità di DPI e di grave crisi dei servizi sanitari il rischio di ricadute psicologiche per il mancato accesso di una persona di fiducia della donna in occasione del parto è inferiore rispetto a quello della trasmissione dell’infezione e quindi ritengono che le politiche di chiusura che alcune maternità stanno adottando siano condivisibili. Suggeriscono inoltre che, per mitigare gli effetti di tale separazione, si possono applicare le strategie sviluppate in diverse circostanze, ad esempio con le donne che partoriscono distanti dai propri partner impiegati nelle forze militari statunitensi. La lettera si chiude con l’invito alle strutture negli USA che si troveranno ad affrontare questa situazione ad organizzarsi per tempo provvedendo a predisporre servizi di sostegno materno e parentale a distanza, sia in epoca prenatale che per il dopo parto, avendo cura di riprendere prontamente le abituali misure di accoglienza dei familiari delle donne non appena passata la fase emergenziale.
Su questo aspetto, i Royal Colleges inglesi nell’ultimo aggiornamento del 17 aprile mantengono l’indicazione alla presenza di una singola persona asintomatica, scelta della donna, durante il travaglio e il parto, in quanto tale presenza comporta una differenza significativa per la sicurezza e il benessere delle donne durante il parto. La persona scelta della donna dovrebbe rimanere vicino a lei per tutto il tempo, senza spostarsi all’interno del reparto, e adottare le misure di prevenzione previste dalla struttura [7].
Sono state pubblicate 2 revisioni sistematiche di letteratura sul tema COVID-19 in gravidanza. Una riguarda l’intero spettro delle infezioni da Coronavirus (SARS, MERS, COVID-19) e si pone l’obiettivo di descriverne i principali esiti materni e neonatali [8]. Gli studi inclusi nella revisione per la sola infezione COVID-19 sono in numero limitato (n=6), descrivono 41 casi in totale e, per stessa ammissione degli autori, presentano limiti metodologici che potrebbero compromettere le conclusioni del lavoro.
La seconda revisione [9] affronta lo stesso tema includendo 6 studi, di cui solo 2 in comune con la precedente, per un totale di 51 donne in gravidanza affette da COVID-19. Anche in questa revisione la valutazione della qualità metodologica delle pubblicazioni incluse risulta critica con un solo lavoro su 6 che risponde ai predefiniti criteri di qualità. Gli autori non hanno pertanto effettuato una metanalisi e si sono limitati a descrivere e sintetizzare i principali risultati e le implicazioni cliniche della serie di casi presi in esame.
Le principali novità dell’ultimo aggiornamento dei Royal Colleges inglesi riguardano un nuovo paragrafo sugli effetti del virus nelle donne in gravidanza, nel quale vengono descritti articoli già commentati nella sintesi odierna e in quella della scorsa settimana sul portale di Epicentro. E’ stato inoltre incluso un warning sul possibile aumento di rischio di tromboembolismo venoso in caso di infezione COVID-19 in gravidanza. Il paragrafo 5, “Advice for services caring for women following isolation for symptoms, or recovery from confirmed COVID-19”, include raccomandazioni per l’assistenza in gravidanza e in puerperio. Tra queste segnaliamo la sorveglianza ecografica dell’accrescimento fetale nelle donne che hanno contratto l’infezione COVID-19 e la prescrizione a tutte le donne dimesse dopo il parto, sia vaginale che cesareo, di eparina a basso peso molecolare per almeno 10 giorni [7].
La trasmissione verticale rimane non confermata [1,10,11,12,13], nonostante alcuni articoli suggestivi di questa possibilità [14,15]. Nei casi di neonati risultati positivi, la sintomatologia permane lieve o moderata [16]. Il report “Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia” dell’ISS del 20 aprile riporta un solo caso di decesso sotto l’anno di età in un bambino con grave comorbidità [17].
Breslin et al. [1] descrivono 18 neonati da madri positive; i piccoli sono risultati negativi, a eccezione di un caso di risultato inconclusivo, e in buone condizioni cliniche. L’allattamento è stato incoraggiato rispettando le norme di igiene e il distanziamento sociale raccomandato dal CDC [18]. Anche altri autori riportano casi di neonati da madri positive, risultati negativi e asintomatici [10,11]. Anche nei casi in cui il neonato ha manifestato una sintomatologia clinica moderata, è risultato negativo alla ricerca del virus in diversi campioni biologici [12].
L’analisi del latte materno della madre COVID+ e di una neonata di 27 giorni, anch’essa positiva, ha dato esito negativo per la ricerca del virus [16]. Anche altri autori confermano l’assenza del virus nel latte materno [10].
Spatz in un editoriale propone una guidance sull’allattamento passando in rassegna il razionale scientifico e biologico della protezione e promozione dell’uso del latte umano e dell’allattamento. L’autrice sottolinea l’importanza del sostegno alla famiglia perché sostenga a sua volta la madre nelle prime due settimane dopo il parto in modo da ottimizzare le proprie risorse e capacità per l’allattamento [19].
Salvatori et al. riportano i primi due casi di diade madre-neonato giunti al pronto soccorso pediatrico. Madri e bambini erano positivi al SARS-COV-2, contagiati probabilmente nello stesso momento da una terza persona. Né le madri né i bambini hanno avuto necessità di cure intensive ma, in via prudenziale, sono stati separati dalle madri paucisintomatiche. È stato analizzato il latte di entrambe le madri senza trovare traccia del virus. In ragione di ciò, gli autori concludono che non sussista l’indicazione alla separazione e all’interruzione dell’allattamento. Nei casi in cui l’allattamento diretto al seno non sia possibile, dovrebbe essere considerato l’uso di latte materno spremuto [20].
Tra i documenti e gli aggiornamenti italiani, la SIAARTI ha pubblicato la seconda versione delle “Indicazioni per la gestione anestesiologico-rianimatoria di pazienti con sospetta o accertata infezione da SARS-CoV-2 (COVID-19) nel peripartum” [21].
Sui siti delle società scientifiche è disponibile documentazione sul tema COVID in gravidanza, parto e allattamento. In particolare l’AOGOI ha raccolto protocolli clinici e percorsi assistenziali prodotti da alcuni servizi e Regioni [22].
Riferimenti bibliografici
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