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Tumore della mammella: nelle donne in sovrappeso mammografia va fatta più di frequente

24 novembre 2017 – Uno studio condotto al Karolinska di Stoccolma e presentato recentemente al congresso dei radiologi americani ha evidenziato il rischio che nelle donne obese o in sovrappeso la mammografia potrebbe non riuscire a vedere un nodulo tumorale al di sotto di 2 cm di diametro. Questo significa perdere l’occasione di una diagnosi precoce con pesanti implicazioni prognostiche e terapeutiche.


Le donne in sovrappeso o obese corrono un maggior rischio che la mammografia non individui la presenza di un tumore della mammella, finché questo non cresca fino a superare i 2 cm di diametro. E’ quanto rivela uno studio che sarà presentato la prossima settimana al congresso annuale della Radiological Society of North America(RSNA, 26 novembre-1 dicembre – Chicago) Le implicazioni pratiche di questa evidenza sono che le donne con un elevato BMI dovrebbero probabilmente sottoporsi a controllo mammografico ad intervalli più ravvicinati.
 
Fino ad oggi un BMI elevato è stato associato ad un aumentato rischio di patologie cardio-metaboliche e tumorali, ma non era mai stato chiamato in causa nella ridefinizione della tempistica dello screening mammografico per il tumore della mammella. Lo spartiacque dei 2 cm, nel caso del tumore della mammella, è molto importante sia a fini prognostici, che di definizione del disegno terapeutico; sotto i 2 cm di diametro massimo si parla di tumore di stadio I, al di sopra di tumore di stadio II.
 
Fredrik Strand, radiologo al Karolinska University Hospital di Stoccolma e colleghi, hanno esaminato 2.012 casi di carcinoma invasivo della mammella diagnosticati tra il 2001 e il 2008; i ricercatori svedesi hanno quindi seguito queste pazienti fino a tutto il 2015, andando ad esaminare l’eventuale correlazione tra progressione di malattia, BMI e densità del tessuto mammario.
 
Nel caso dei tumori individuati allo screening mammografico, sia il BMI che la densità del tessuto mammario sono risultati associati ad un tumore di grandi dimensioni al momento della diagnosi; nel caso dei cosiddetti ‘carcinomi di intervallo’ (tumori scoperti entro 12 mesi dall’esecuzione di una mammografia refertata come negativa) o entro due anni da una precedente mammografia, l’unica correlazione emersa è con il BMI. Le donne con elevato BMI presentavano una prognosi peggiore rispetto alle donne con BMI inferiore per i tumori individuati nell’intervallo tra due mammografie. La densità mammaria non mostrava infine alcuna associazione significativa con la progressione di malattia.
 
Secondo gli autori, si tratta di risultati che forniscono, sia ai medici che ai pazienti, informazioni importanti nel pianificare un approccio di screening ottimale. “Nel presentare i pro e i contro dello screening per il tumore della mammella alla paziente - afferma Strand – il fatto di avere un elevato BMI dovrebbe rappresentare un incentivo in più per sottoporsi a mammografia; questi risultati inoltre stanno ad indicare che queste pazienti dovrebbero non solo fare lo screening mammografico, ma farlo anche ad intervalli più ravvicinati rispetto alle donne con BMI normale”.
 
Oltre ad un ‘cancro di intervallo’ di dimensioni maggiori, le donne con elevato BMI possono presentare altri fattori che le espongono al rischio di una prognosi peggiore, compresa la composizione molecolare dei tumori e il livello di espressione dei recettori ormonali.
 
In Svezia l’intervallo tra un screening mammografico è l’altro è fissato in 18-24 mesi (l’American Cancer Society raccomanda 12 mesi, la United States Preventive Services Task Force 24 mesi); in Italia lo screening prevede una mammografia ogni 2 anni tra i 50 e i 69 anni.
I prossimi passi del gruppo di ricerca svedese prevedono di indagare se la densità della mammella sia associata ad un ritardo nell’individuazione del tumore. In un futuro più remoto, gli svedesi cercheranno di utilizzare l’intelligenza artificiale come strumento per differenziare gli intervalli di screening mammografico sulla base del rischio di tumore della mammella di una determinata paziente e della riconoscibilità del potenziale tumore.
 
Maria Rita Montebelli

 

 

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