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Dosaggio degli oncomarcatori: uno spreco che non serve a far diagnosi di tumore

8 settembre 2017 - Gli esperti hanno più volte sottolineato questo messaggio e stigmatizzato la pratica, invalsa a livello di medicina di famiglia ma anche di cure secondarie, di richiedere il dosaggio degli oncomarcatori nel caso in cui si sospetti un tumore. Uno studio presentato al congresso europeo di oncologia, calcola anche le conseguenze di questo spreco: soldi in fumo, ansia a go-go nei pazienti con marcatori elevati, sostanziale inutilità per la diagnosi di tumore. 

Troppe richieste inutili di marcatori tumorali, sia a livello di cure primarie che secondarie. E’ l’allarme che viene dagli esperti dell’ESMO (European Society for Medical Oncology), alla vigilia del mega-congresso annuale in programma a Madrid da oggi al 12 settembre. Una marea di soldi spesi male perché gli oncomarcatori non assistono nella diagnosi, se non forse  in appena il 2% dei casi. Secondo gli esperti i marker tumorali (molecole presenti in concentrazioni più alte della norma livello sierico o tessutale o in altri liquidi biologici dei pazienti con tumore) possono assistere nel fare diagnosi solo in casi molto particolari.

“Un uso inappropriato degli oncomarcatori richiesti per fare diagnosi di tumore – afferma Craig Barrington del South West Wales Cancer Centre (Gran Bretagna), autore di uno studio che sarà presentato al congresso di Madrid – può provocare ansia nelle persone, portare a richiedere altri test inutili, ritardare addirittura la diagnosi corretta e aumentare la spesa sanitaria”.

Lo studio ha esaminato il numero di richieste di batterie di oncomarcatori in contesti di cure primarie e secondarie in un periodo di 6 mesi all’interno del Abertawe Bro Morgannwg University Health Board nel Galles. Per richieste ‘multiple’ i ricercatori intendono la richiesta di più di un oncomarcatore fatta per lo stesso paziente all’interno di un periodo di due settimane. Gli autori sono andati quindi a vedere quanti dei pazienti ai quali era stata chiesta una batteria di oncomarcatori fossero risultati poi nel corso del tempo effettivamente portatori di una neoplasia e se il dosaggio dei marker fosse realmente stato utile per giungere a questa diagnosi.

Nel periodo analizzato, sono state 1.747 le richieste di batterie di oncomarcatori provenienti sia da contesti di cure primarie che secondarie. 297 (il 17%) dei pazienti studiati alla fine sono risultati effettivamente portatori di un tumore, ma il dosaggio degli oncomarcatori aveva contribuito a fare diagnosi di tumore solo in 35 pazienti (il 2% del totale).
Solo il 5% (50 pazienti) è risultato affetto da tumore di quelli sottoposti alle 985 richieste di batterie di oncomarcatori provenienti dalle cure primarie e alla fine gli oncomarcatori sono risultati utili ai fine della diagnosi in appena 5 pazienti (lo 0,5%). Delle 762 richieste provenienti da contesti di cure secondarie, il tumore è stato successivamente riscontrato in 244 pazienti (32%), ma anche in questo caso il contributo degli oncomarcatori alla diagnosi è stato minimale (solo in 30 pazienti, il 4% del totale).

Estrapolando questi numeri e rapportandoli ad un periodo di un anno, gli autori hanno calcolato che questi esami, come vistoquasi sempre inutili per la diagnosi, generano una spesa di oltre 95 mila sterline. “La maggior parte delle richieste di oncomarcatori – commenta Barrington – non ha portato ad una diagnosi di cancro e anche nei pazienti ai quali successivamente è stato diagnosticato un tumore, nella maggior parte dei casi sono risultati inutili a fini diagnostici. Va inoltre sottolineato che richiedere il dosaggio degli oncomarcatori genera comunque ansia nei pazienti, porta a fare una serie di altri esami inutili e aumenta la spesa sanitaria. È necessario educare i medici a questo riguardo per aiutarli a comprendere quando richiedere gli oncomarcatori può essere utile a fini diagnostici nei pazienti nei quali si sospetti un tumore.”
 
Maria Rita Montebelli

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