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Cassazione ribadisce responsabilità d’équipe e della struttura

9 febbraio 2018 - Secondo la Cassazione ciascun componente di una équipe chirurgica è tenuto, in base ai propri obblighi di diligenza, a  controllare la cartella clinica del paziente prima dell'operazione e a valutare tutti di dati utili a verificare se la scelta di intervenire è corretta e compatibile con le condizioni di salute del paziente. LA SENTENZA. 

Se un intervento chirurgico non era urgente, i medici non provvedono alla verifica delle condizioni generali del paziente e l’intervento va male, non importa chi ha svolto bene i suoi compiti: tutti sono responsabili perché, data la non necessità e la mancanza di accertamenti preventivi , il comportamento sanitario è stato “imprudente”.

Lo ha stabilito la Corte di cassazione (sentenza 2060 2018), chiudendo il caso di una donna operata (nel 1994, ci sono voluti ventiquattro anni)  e morta l'anno seguente senza essersi mai ripresa.

La paziente era stata sottoposta a un ingente “auto prelievo” in vista dell'intervento, senza però che i sanitari avessero verificato le ragioni per cui i valori del sangue risultavano alterati.

Solo a intervento concluso si era scoperto che era positiva all'Hiv e dunque la prudenza avrebbe imposto di non fare l'operazione. I giudici nella sentenza ripercorrono i principi più importanti in tema di responsabilità medica fornendo precisazioni sul ruolo dell'aiuto in sala operatoria.

Secondo la Cassazione ciascun componente di una équipe chirurgica è tenuto, in base ai propri obblighi di diligenza, a  controllare la cartella clinica del paziente prima dell'operazione e a valutare tutti di dati utili a verificare se la scelta di intervenire è corretta e compatibile con le condizioni di salute del paziente.

L’obbligo grava su tutti, a prescindere dal fatto che il sanitario si trovi "in posizione sovra o sottordinata", con la conseguenza che non è possibile affermare che il componente dell'équipe in posizione sottordinata possa limitarsi a svolgere le mansioni che gli sono state affidate senza prima acquisire consapevolezza delle condizioni in cui si trova il paziente nel momento in cui viene operato.

Questo significa secondo la Corte che anche l'assistente del primario non è esente da responsabilità solo per aver svolto bene i suoi compiti nel corso dell'intervento se non ha controllato che il primario facesse lo stesso.

La Cassazione ricorda che l'aiuto per essere esente da responsabilità deve esprimere, senza formalità, il suo dissenso rispetto all'operazione.
La Cassazione conferma la responsabilità solidale anche della clinica per la morte della paziente alla quale non era stato riscontrato l'Aids né erano state evidenziate le controindicazioni all'intervento.

La responsabilità dei medici che provvedono direttamente all'operazione, invece, in casi come quello esaminato dalla Cassazione rispondono non per l'errata esecuzione dell'intervento ma per la negligenza che li ha portati a eseguirlo senza verificare attentamente le condizioni fisiche alterate del paziente, specie considerando che l'intervento non era né necessario né urgente.

La Cassazione spiega che "rientra negli obblighi di diligenza che gravano su ciascun componente di una equipe chirurgica, sia esso in posizione sovra o sottordinata, quello di prendere visione, prima dell'operazione, della cartella clinica del paziente contenente tutti i dati atti a consentirgli di verificare, tra l'altro, se la scelta di intervenire chirurgicamente fosse corretta e fosse compatibile con le condizioni di salute del paziente”.

"Deve in conseguenza escludersi – prosegue la decisione - che la diligenza del componente dell'equipe medica in posizione sottordinata si limiti al mero svolgimento delle mansioni affidate senza che sia necessaria una preventiva acquisizione di consapevolezza delle condizioni del paziente nel momento in cui questo viene sottoposto ad operazione”.

Per quanto riguarda i due medici che hanno "direttamente” operato, la responsabilità non deriva da una "errata esecuzione dell'intervento chirurgico”, ma da un "comportamento negligente, di non attenta verifica preliminare delle condizioni fisiche in cui versava la paziente, individuabile a mezzo degli esami del sangue, che aveva condotto ad una errata scelta clinica, la scelta appunto di intervenire chirurgicamente, benché non si trattasse di una operazione necessaria né urgente, su una paziente in condizioni fisiche alterate, provocandole una perdita di chances di sopravvivenza a fronte della patologia dalla quale era già affetta”.

Infine, conclude la Corte, la responsabilità della struttura sanitaria non può essere limitata alle "prestazioni alberghiere”, dal momento che col pagamento del corrispettivo nascono anche "obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze”. E ciò a prescindere dal rapporti di subordinazione col medico ed anche se la scelta del professionista è stata fatta dal paziente.
 

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